IV domenica di Avvento

2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38

L’angelo apre e chiude il brano evangelico proposto oggi al nostro cammino liturgico nell’imminenza ormai del Natale del Signore.
Un messaggero che fa conoscere, un messaggero mandato con un compito preciso: farci comprendere quale sia il ruolo di Maria nel piano di Dio.
L’angelo non si perde in parole inconsistenti o presentando uno scenario staccato dalla realtà. È preciso nel suo dire: Elisabetta è al sesto mese della sua gravidanza. Maria si trova in una città della Galilea e vengono declinati tutti i nomi dei personaggi.

Se si osserva il linguaggio di Luca si scopre immediatamente la tonalità dell’annuncio.
Abitualmente l’evangelista, quando vuole esprimere il saluto, si serve del termine Shalom, il saluto ebraico per eccellenza che dona la Pace.
Con Maria usa invece il verbo che comunica la gioia, la possibilità di rallegrarsi.
Il Primo Testamento ci ha insegnato a riconoscerlo: in Sofonia (3,14) l’invito alla gioia esplode perché il Signore ha revocato una condanna e ora annuncia la salvezza.
In Zaccaria (9,9) il centro del messaggio è costituito dal re messianico, colui che porterà la pace.
Tutto converge nel saluto a Maria con una grande novità: la salvezza non dall’esilio, non dalla schiavitù ma dalla liberazione dal peccato, quello stato che lascia nel vero esilio, cioè lontani dall’Altissimo e rende schiavi e non liberi.
Allora Maria diviene il simbolo di quell’Israele fedele al patto, che conduce il popolo a vivere la speranza del Messia.

La giovane fanciulla di Nazareth è graziata da Dio. Ha ricevuto un dono speciale, non rendendola un oggetto ma un soggetto attivo, pronto a rispondere in piena autonomia.
Le viene affidata una missione unica, senza precedenti nella storia della salvezza. Le si apre un’avventura straordinaria che raccoglie la speranza che ha sorretto per secoli tutte le vicende della storia d’Israele.
Ora è giunto il momento salvifico per Israele e per tutti i popoli.
Attraverso l’assenso di una giovane donna. Non viene abbandonata, lasciata a se stessa. L’angelo la rassicura “Il Signore è con te”.
Non solo guida i suoi passi, illumina il suo cammino ma lo compie insieme a lei, con una presenza indefettibile, degna della fedeltà dimostrata nei secoli.
Anche Gedeone, che dovrà salvare Israele, aveva ricevuto questa promessa con la certezza di essere colmato della forza necessaria. Egli però aveva chiesto un segno, Maria solo una spiegazione.

Quando ci troviamo dinanzi al varco delle nostre chiamate, siano esse capitali, definitive oppure legate al nostro quotidiano, da che parte stiamo? Siamo capaci di chiedere come ha chiesto Maria oppure esigiamo autorizzazioni certe, tangibili.
La fiducia riposta nell’Altissimo così vacilla, vogliamo ancora tenere in mano la barra del timone, decidere la rotta. Poggiare i piedi su di un terreno solido, conosciuto e misurato.
Se invece scegliessimo di lasciarci plasmare da Maria e fossimo capaci di un’accettazione fiduciosa, ubbidiente, non saremmo davvero trasparenti al Vangelo?